Negli ultimi anni parlano tutti del rap femminile. Un topic complesso e divisivo che proprio per questo è sulla bocca di chiunque.
Il Guardian già nel 2020 ha scritto che stava iniziando la golden age del rap femminile. Poi nel 2023 il New York Times ha titolato addirittura “The Future Of Rap Is Female”. A seguire è arrivato Genius che, dopo aver analizzato le view dei testi delle rapper, ha concluso in modo secco: “Women are crushing it right now—we have proof”. Nel frattempo su siti, blog e riviste i post e gli articoli dedicati alle rapper sono diventati sempre più frequenti.
Anche Marracash ne ha parlato nel suo podcast “Fuori dalla bolla” con Francesco Oggiano, sottolineando come il rap femminile sia alla fine una delle cose più interessanti che stanno succedendo in questo periodo storico.
“Persone che inizialmente non erano incluse in un discorso, sai quante cose hanno da dire, quanta arte inespressa femminile deve ancora presentarsi…”
Il discorso di Marracash funziona: il rap femminile sembra proprio avere una fame creativa ed espressiva alla base che ricorda le origini del genere. E forse è anche per questo che attira l’attenzione, perché si contrappone col resto del rap che in molti casi ha perso quel moto di urgenza, diventando spesso una posa o comunque uno show off del proprio status.
In più, non bisogna dimenticare che le donne, nel rap così come in altri campi, spesso per essere prese sul serio devono impegnarsi e dimostrare di più rispetto agli uomini. Questo concetto lo spiega bene la rapper Flo Milli nell’articolo del New York Times, parlando proprio del doppio standard che vivono le donne anche nel mondo del rap.
“We gotta spend way more bread, put way more energy into our performance, hire dancers, just put a lot more into everything than they do.”
Quindi le donne in media hanno più fame, hanno qualcosa da dire e si impegnano il doppio in quello che fanno. A questi motivi si può aggiungere anche il fatto che lo streaming e i social hanno cambiato profondamente la musica di oggi, rendendola per certi aspetti più democratica. Ora anche le rapper hanno un pubblico pronto ad ascoltare la loro voce.
Questa è un’importante differenza rispetto al passato. Anche negli anni ‘80 c’erano donne che facevano rap, ma la loro presenza era subordinata quasi sempre a quella degli uomini. Lo ricorda anche Mc Lyte in un’intervista con Brian Coleman parlando degli anni ‘80/‘90 in cui ha iniziato a fare rap.
“Every woman who has been able to stay in the game has come from a certain camp. Men who come out and make it put their stamp of approval on these women, like Eve from Ruff Ryders, Foxy from the Firm. You don’t have to have it, but it’s definitely a selling point.”
Per il resto le donne nel rap avevano più ruoli di contorno: erano le ballerine degli show, le compagne da avere con sé agli eventi, le modelle per i i video. Chi riusciva a ritagliarsi un ruolo diverso doveva lottare per tenerselo stretto e infatti per molti anni le rapper sono sempre state anche in competizione tra loro. Quasi come se ci fosse posto solo per una: nei ‘90 era Foxy Brown contro Lil Kim, mentre di recente è stato Nickij Minaj contro Megan Thee Stallion. Ma allora quando è cambiato tutto questo?
Secondo Genius il turning point c’è stato nel 2017. In quell’ anno Cardi B ha pubblicato la hit “Bodak Yellow”, il primo singolo di una rapper donna ad entrare nella Billboard Top 100 dopo “Doo Wop (That Thing)” di Lauryn Hill nel 1998. Una mezza rivoluzione.
Prima di allora, dal 2012 al 2016, le rapper che su Genius arrivavano a 500k views non erano mai state più di quattro e la partita si giocava principalmente tra tre rapper: Nicki Minaj, Azaelia Banks e Iggy Azalea.
Nel 2017 invece le rapper con 500k views sul sito sono diventate 15. E da lì in poi, almeno dal 2018 fino al 2023, non sono mai state meno di 9. Confermando anno dopo anno una costante maggiore rilevanza delle rapper donna.
L’analisi di Genius si ferma al 2023, ma se pensiamo ai giorni nostri abbiamo già nuovi esempi in linea con quel discorso. Uno su tutti il caso di Doechii che sta vivendo un momento d’oro: prima di lei a vincere il Grammy per il miglior album rap ci erano riuscite solo Lauryn Hill nel 1996 come parte dei Fugees con “The Score” e Cardi B con “Invasion of Privacy”.
Ma al di là dei premi e dei numeri, quello che ha fatto la differenza è la storia di Doechii, una storia davvero HipHop. Per anni ha lottato per emergere con la sua musica, rischiando quasi di perdere tutto. Dopo anni difficili, di sacrifici, porte in faccia, non ha smesso di crederci e ha scommesso tutto quello che aveva. E alla fine ha avuto la sua rivincita passando da zero a cento.
Ovviamente è una semplificazione estrema del suo percorso. Ma è così che è stata percepita a grandi linee. E lei ha interpretato quel ruolo alla perfezione, facendo uno speech tutto orientato a ispirare e motivare le donne come lei.
"I know that there is some Black girl out there, so many Black women out there that are watching me right now, and I want to tell you: You can do it. Anything is possible."
Certo la retorica del “se vuoi puoi” è molto americana e poco realistica. Però l’intento del suo discorso è stato sicuramente positivo e infatti è diventata subito il simbolo del nuovo corso del rap femminile.
In modo simile, ma con proporzioni ovviamente diverse, è successo con Anna in Italia. Tra l’altro proprio di recente è volata a Los Angeles ai Billboard Women In Music 2025 per ritirare il premio Billboard’s Italia Global Woman Of The Year, vinto per quello che ha fatto l’anno scorso.
Certamente è un premio dal valore simbolico, ma è indice di quanto sta lasciando il segno nel rap game italiano. Il suo album di debutto Vera Baddie oltre a trionfare nei numeri, ha portato in Italia una visione nuova.
Anche se lei nelle interviste ha sempre detto chiaramente che fa la musica che le viene di fare, senza pensare tanto alla distinzione tra rap femminile e maschile, come ha spiegato proprio a Billboard.
Quando dicono che io sono la più brava in Italia mi verrebbe da rispondere “Io non sono la più brava, semplicemente sono l’unica che si è buttata e a cui non è mai fregato niente di essere in mezzo a soli uomini. Anche a costo di prendermi gli insulti”. Ah, e aggiungo anche che io non ho portato “il rap femminile”, ho portato la mia musica, stop.
E infatti il successo di Anna è legato proprio a questo: lei fa il suo rap senza l’ansia di dover dimostrare a tutti i costi di essere a livello dei rapper uomini. La gara è più con sé stessa e questo le ha permesso di avere un pubblico tutto suo, fatto tanto di ragazze che si rivedono in lei, quanto di ragazzi che sono presi bene dal suo rap, a livello di immaginario e di energia.
Anna comunque non è l’unica. C’è anche Ele A che a modo suo sta tracciando la sua strada. Due stili opposti, due percorsi differenti, ma con in comune la stessa fame e lo stesso approccio, come si capisce dalle interviste.
Non sento il peso di dover gareggiare con gli uomini, ma apprezzo il fatto che oggi nella musica italiana ci siano sempre più donne che stanno facendo successo. Ad esempio, il pezzo più ascoltato di questa estate (2024 ndr) è stato di Anna, che mi ha resa fiera come donna ma soprattutto come rapper. In generale, che sia uomo o donna, a me rende felice vedere artisti e brani rap arrivare in classifica e venire ascoltati da più persone possibili: è sempre un grande traguardo.
Alla fine é vero, conta poco se il buon rap lo fa una donna o un uomo, basta che sia buon rap. E il goal dovrebbe essere proprio questo: non fare caso a queste distinzioni. Se però ancora ha senso parlare di rap femminile è perché c’è ancora strada da fare affinché i pregiudizi siano del tutto irrilevanti.
E allora ben venga dare attenzione al fatto che sempre più donne fanno il rap. Ben venga sottolineare gli esempi positivi. Ben venga dare spazio a chi merita. Magari poi un giorno tutto questo diventerà superfluo.
Ps: qui trovate una playlist con il rap femminile che sto ascoltando ultimamente.